Il successo che l’istituzione degli Anni Santi, il cui primo fu proclamato da Bonifacio VIII il 22 febbraio 1300, indusse i Papi ad una completa ristrutturazione della zona di San Pietro, con l’eliminazione dei Borghi e della case intorno alla Basilica, fin sotto le falde del Colle Vaticano.
Sul lato del Borgo Vecchio, uno stretto rettifilo che portava da Piazza San Pietro a Castel Sant’Angelo, venne fatto edificare, nel 1480, il grandioso palazzo dei Della Rovere.
Il palazzo che oggi viene chiamato impropriamente dei Penitenzieri – dal nome degli ultimi proprietari, i Padri Penitenzieri di S. Pietro – era il palazzo di Domenico della Rovere, Cardinale piemontese della cerchia di Papa Sisto IV della Rovere, che a Roma farà una brillante carriera distinguendosi per importanti cariche ecclesiastiche ed alte rendite economiche.
La sua costruzione risale alla seconda metà del Quattrocento, tra il 1480 e il 1490 e il modello a cui direttamente si rifà nella tipologia edilizia è Palazzo Venezia, il più importante del Quattrocento Romano.
Questo edificio fu sempre chiamato – anche in epoche ormai lontane – il gioiello di Borgo.
L’architetto non è noto, ma tutto fa pensare che esso sia stato il medesimo che ha costruito il Palazzo Venezia, per lo stile e il carattere dell’architettura che sono perfettamente della stessa natura. Il Vasari accenna a Baccio Pontelli, altri a Meo del Caprino, ma non si hanno dati certi.
Il Palazzo della Rovere era tanto lodato e ammirato dai contemporanei che fu prescelto per ospitare l’imperatore Carlo VIII durante la sua visita a Roma nel 1495.
La facciata si presenta a tre piani, in cui il primo distanzia notevolmente gli altri per l’altezza e la grandiosità delle finestre crociate. In quella centrale si vede ancora lo stemma dei Della Rovere.
Dai vari documenti della Biblioteca Chigi e degli Archivi dell’Ospedale di S. Spirito, da una pianta dell’archivio Vaticano, e da un affresco della loggia del terzo piano del Palazzo Vaticano, appare che il Palazzo dei Penitenzieri avesse (come il coevo Palazzo Capranica) una torre sull’angolo sinistro della facciata; fatto questo che spiegherebbe anche la collocazione del portone fuori centro rispetto all’intera facciata.
La quota della soglia del portone, e quindi dello spaccato dell’edificio, è inferiore a quella di Borgo Vecchio, tantochè si debbono scendere due gradini per accedere nell’interno.
Da una stampa della Biblioteca Chigi risulta che avanti al prospetto esisteva un vallo o fossa, protetta da colonnette e catene, secondo l’uso romano.
Le mostre delle finestre sono in marmo bianco, ed i fondi intonacati si suppone dovessero essere decorati di graffiti, poichè tale partito decorativo si riscontra nel fianco verso Via dei Penitenzieri.
Il piano terreno, come risulta dai documenti, non aveva botteghe, ma finestrelle quasi quadre, come ne esiste ancora una verso l’angolo di destra.
Due piccole fontane di Paolo V addossate al muro, sono ancora in opera.
L’edificio termina con una tettoia rusticissima e disadorna, senza fascia od ovolo, o cornice. Alcuni edifici della stessa epoca (Palazzo in Piazza Navona e Palazzo Capranica) sono egualmente troncati nella loro sommità. Altri invece terminano con un cornicione puramente lineare, ispirato a quello dell’ultima zona del Colosseo (Palazzi Cancelleria, Torlonia, Torre del Pianto, etc.).
Il complesso, oggi, ospita nei cinque saloni del piano nobile, sede degli uffici di rappresentanza dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, un importantissimo cielo pittorico del protetto di Alessandro VI Borgia, Bernardino di Betto, detto il Pinturicchio e della sua scuola; la sala del Gran Maestro decorata con una sontuosa architettura dipinta che simula una loggia aperta; la sala dei Mesi che conserva frammenti di una rarissima rappresentazione dei mesi collegati con i miti dai quali hanno avuto origine i segni zodiacali; le scene rimaste riguardano il mese di giugno con il contadino che falcia l’erba e il mito di Ercole e l’idra da cui ha avuto origine il segno zodiacale del Cancro, il mese di ottobre con la figura dell’uccellatore della tradizione bizantina e il mito di Orione da cui ha avuto origine il segno zodiacale dello scorpione, e il mese di marzo con i soldati pronti per partire per la guerra.
La successiva sala conserva bellissime lunette con figure di profeti che recitano le loro profezie e di apostoli con i versetti del Credo, mentre il soffitto splendente di oro e azzurro mostra ritratti di imperatori romani.
Tali affreschi sono meravigliosi soprattutto per l’armonia dei colori e lo sfoggio di azzurro e oro, particolarmente costosi e difficili a comporsi (per l’azzurro si dovevano adoperare i lapislazzuli). Molti dei motivi eseguiti si ripresentano spesso nei temi iconografici dell’artista, specie nell’appartamento Borgia in Vaticano.
L’ambiente più bello e meglio conservato è la sala dei Semidei, con uno straordinario soffitto composto di sessantatre formelle dipinte su carta pergamena e incollate nei cassettoni lignei, dove a bestiari medievali si affiancano allegorie e simboli e immagini riprese dai sarcofagi classici, testimonianza importantissima di una cultura al bivio tra Medioevo e Rinascimento. Animali fantastici e mostruosi, divinità mitologiche ed esseri ibridi, metà umani e metà animali come sirene, tritoni, centauri, satiri e sfingi, si accampano isolati sul fondo oro delle formelle, o suonano strumenti musicali, o si azzuffano con armi rudimentali in una grande varietà di atteggiamenti.
L’antico refettorio che si affaccia sul giardino pensile, nell’ala sinistra del palazzo occupata dall’Hotel Columbus, conserva una decorazione cinquecentesca a motivi naturalistici e figure allegoriche di influenza michelangiolesca. Nella stessa ala dell’edificio, al secondo piano, il pittore Fiorentino Francesco Salviati affrescò nel 1552 altri ambienti per incarico del Cardinale Giovanni Salviati che fu per lungo tempo tra i proprietari del palazzo, dove ebbe stabile dimora. Tra questi è la sala di Apollo con una straordinaria rappresentazione di Apollo che guida i cavalli del sole dipinta con effetto di trompe-l’oeil al centro del soffitto tra gli emblemi della famiglia Medici.
Il vasto giardino, o cortile aperto, da cui si aprivano all’intorno leggiadri porticati, oggi rinchiusi e manomessi, è diviso in due parti: una più bassa, alla quota del portone principale su Via della Conciliazione, ed una più alta, corrispondente alla quota di Borgo S. Spirito.
Il giardino trovasi in condizioni non ottimali di manutenzione.
Un progetto, regolarmente approvato, redatto in base a numerosissimi documenti storici, grafici e rilievi, contempla il ripristino integrale dell’edificio, riportandolo al suo primitivo splendore, sia riattando le manomissioni perpetrate, sia completandolo di quanto manca, attenendosi alle più rigorose e documentate argomentazioni. Alcuni motivi speciali, come la Torre sull’angolo sinistro, il cornicione, il portone, i porticati verso il cortile, saranno studiati, vagliati, discussi, approvati o respinti, sopratutto in base a quanto verrà in luce non appena si potrà mettere mano ai lavori.
Caratteristiche le due piccole fontane incastonate alla base del palazzo sul lato di via della Conciliazione, dove sono scolpiti i draghi e le aquile dello stemma Borghese.
Nel 1655 i Penitenzieri, i religiosi che avevano il compito di confessare i pellegrini nella Basilica Vaticana, lo acquistarono per quattordicimila scudi: da quel momento l’edificio prese il nome di Palazzo dei Penitenzieri.
Oggi il palazzo è sede, come di già detto, dell’Ordine Equestre del S. Sepolcro di Gerusalemme.
La Chiesa di S. Onofrio è in bella posizione sulla passeggiata del Gianicolo, e si presenta, attualmente, nell’aspetto dato dagli interventi susseguitisi nel tempo fino al tardo Cinquecento.
E’ preceduta da un sagrato-portico racchiuso sui due lati da archi rinascimentali su colonne antiche, sopra i quali è una loggia ora chiusa. Un romitorio dedicato a S. Onofrio fu qui iniziato nel 1419 dal Beato Nicolò da Forca Palena, che acquistò i terreni necessari con l’aiuto di elemosine di vari fedeli, fra i quali i cardinali Gabriele Condulmer (poi Eugenio IV) e Domenico De Cupis.
Intorno al 1439 fu iniziata la costruzione della chiesa.
Passato il Beato Nicolò con i suoi compagni alla disciplina della Congregazione di S. Gerolamo, fondata dal B. Pietro Gambacorti da Pisa nel 1446, il gerolamino Jacobelli nello stesso anno aprì la strada che dalla Lungara, costeggiando il palazzo Salviati, saliva al santuario (l’attuale via di S.Onofrio).
La chiesa fu condotta a termine e decorata nel corso del sec. XVI. Il 6 luglio 1517 Leone X creò la diaconia cardinalizia. Sisto V nel 1588 la elevò a titolo presbiteriale e sistemò la strada che dalla porta S. Spirito conduce a S. Onofrio (l’attuale salita di S. Onofrio), poi lastricata nel 1600 sotto Clemente VIII con elemosine di alcuni fedeli, fra i quali il card. Alessandro Peretti e Camilla Peretti, sorella di Sisto V.
Il 25 aprile 1595 morì nel convento annesso Torquato Tasso che, ammalato, vi aveva cercato rifugio.
Alla chiesa conduce una scalinata, ai lati della quale, sui muri che la fiancheggiano, si trovano due epigrafi: la prima (a sin.) ricorda l’apertura della strada voluta da Sisto V; la seconda, (a destra), la pavimentazione fatta fare da Clemente VIII.
La chiesa, con un piccolo campanile, è preceduta da un erboso sagrato con fontana.
Il piazzale è chiuso su due lati dalle arcate del portico con fusti di colonne e capitelli antichi, al di sopra del quale corre una loggia ad arcate chiuse agli inizi del sec. XVIII e sostituite da riquadrature in stucco.
Sotto il portico di destra si trova la cappella della Madonna del Rosario, eretta come sacello gentilizio per la propria famiglia da Guido Vaini, il cui stemma (un leone rampante) campeggia sopra la porta di ingresso. Sulla parete accanto alla porta (a destra), è murata la pietra tombale del Beato Nicolò da Forca Palena, già nella prima cappella a destra della chiesa, opera di scultore toscano che risente di Donatello.
Dinanzi al portico della chiesa e del convento vi è posta una fontana costruita nell’aprile del 1924, in occasione dell’anniversario della morte del Tasso, per ricordare il luogo dove il Tasso visse gli ultimi anni della sua vita. La fontana è formata da una vasca circolare, quasi a fior di terra, in mezzo alla quale, su una base quadrata, si eleva un piedistallo a cipolla che sostiene una tazza di travertino, la quale riceve l’acqua da uno zampillo centrale che, attraverso le bocche di quattro mascheroni scolpiti sotto il bordo della tazza stessa, si versa nel bacino sottostante. La fontana fu costruita con vari elementi giacenti nei magazzini comunali, quali il catino e il balaustro appartenenti alla fontana rimossa alla fine dell’Ottocento da piazza Giudea, elementi che furono poi restituiti, intorno al 1930, alla legittima fontana ricomposta in piazza delle Cinque Scole: quegli stessi elementi furono ricostruiti perfettamente identici nella fontana di S.Onofrio.
Quindi la fontana di S. Onofrio è oggi una copia dell’originale.
A destra, la cappella del Rosario, con facciata barocca assai ornata del 1620, con all’interno, sull’altare, Natività di Francesco Bassano il Giovane, oltre a dipinti di Agostino Tassi; sul portale di ingresso Sibille di Giovanni Baglione; inoltre tre lunette del portico sono affrescate dal Domenichino con Storie di S. Girolamo (1605).
L’interno è un’aula rettangolare, con volte a crociera, abside poligonale e cinque cappelle laterali, di uno stile rinascimentale che risente ancora del gotico. Nella prima cappella destra Annunciazione, affresco di Antoniazzo Romano; nella seconda, all’altare, Madonna di Loreto, attribuita ad Annibale Carracci; nell’abside, Storie di Maria, affreschi ritenuti opera giovanile di Baldassarre Peruzzi. Nella terza cappella sinistra, monumenti funebri del cardinal Sega, con ritratto del Domenichino, e del cardinal Mezzofanti, celebre poliglotta dell’Ottocento; nella prima cappella sinistra è il monumento funebre di Torquato Tasso.
Dal portico si accede nel chiostro, bella creazione del Quattrocento, nel quale dominano una pace e tranquillità assolute. E’ a pianta rettangolare con arcate a tutto sesto su colonne più antiche sovrastate da una galleria porticata. Nelle lunette delle pareti, scene della vita e della leggenda di S. Onofrio, eseguite per il giubileo del 1600 da Giuseppe Cesari, Sebastiano Strada e Claudio Ridolfi, oltre a stemmi gentilizi appartenenti alle famiglie che hanno contribuito nel tempo alla costruzione e al mantenimento della chiesa.
Tornando nell’atrio, si può accedere, attraverso una porta situata alla sinistra dello stesso, al Museo Tassiano allestito nelle sale in cui visse il poeta, e dove il 25 aprile 1595 morì il poeta, con cimeli relativi a lui e alle sue opere, e una splendida lunetta raffigurante la Madonna col Bambino e un donatore, affresco del 1513 attribuito al leonardesco Giovanni Antonio Boltraffio.
È il complesso monastico di Sant’Onofrio al Gianicolo, nel cui convento visse, gli ultimi anni della sua vita, Torquato Tasso (Sorrento 1544-Roma 1595). Luogo incantevole e suggestivo, fu visitato anche da Giacomo Leopardi che, in una lettera indirizzata al fratello Carlo, scrisse: «fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma».
Nel Museo Tassiano si conservano manoscritti del poeta, antiche edizioni e traduzioni dei suoi libri, la maschera mortuaria e la lapide tombale proveniente dalla Chiesa di Sant’Onofrio dove Tasso è sepolto nella prima cappella a sinistra, ricordi, autografi, oggetti appartenenti al poeta. La quercia, all’ombra della quale il poeta, solo e depresso, amava riposare durante le sue passeggiate, si trova oggi lungo la passeggiata del Gianicolo, presso la Piazzetta dell’Anfiteatro.
La più piccola delle tre campane della chiesa di S. Onofrio al Gianicolo è detta “la campana del Tasso” perché il suo suono, quasi malinconico e suggestivo, accompagnò gli ultimi giorni della infelice vita del poeta (ospite dell’annesso convento) e per suo espresso desiderio ne confortò la lenta agonia e ne annunziò la morte avvenuta, a soli 51 anni, il 25 aprile 1595.
Durante i fortunosi eventi che si svolsero a Roma dal marzo al giugno del 1849, poco mancò che essa non andasse perduta. Infatti, per fabbricare cannoni, fu dato ordine di requisire le campane e, tra le prime, quelle della chiesa di S. Onofrio che si trovava sulla linea delle operazioni. All’ufficiale che gli si era a tal uopo presentato, l’allibito superiore del convento raccomandò di prendere tutto ad eccezione della piccola campana che aveva suonato l’agonia del Tasso. Ma il militare, che doveva eseguire precise disposizioni, fu irremovibile. Proprio mentre stava per essere messo in atto l’insano proposito giunse in quel luogo Giuseppe Garibaldi che insieme ad alcuni esperti stava ispezionando la zona. Il superiore rivolse allora un ultimo disperato appello al Generale, il quale, forse commosso dalla triste fine del poeta e dalle lacrime del frate, ordinò di risparmiare la campana del Tasso. Ed essa viene ancora oggi indicata ai visitatori della chiesa, della tomba e della piccola stanza del convento ove si concluse la travagliata vicenda terrena dell’autore della “Gerusalemme Liberata”.
Già di pertinenza del Governatorato di Roma, la proprietà del Museo passò nel 1930 alla S. Sede.
Il 15 agosto del 1945 il sommo pontefice Pio XII concede all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme la Chiesa e il Cenobio di S. Onofrio al Gianicolo, con un motu proprio al Cardinale Nicola Canali diacono di S. Nicola in Carcere, e Gran Priore dell’Ordine Equestre: “Poiché l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme non ha assegnata in quest’Alma Città una sua propria Chiesa, desideriamo di dargliene una che non solo sia testimonianza della Nostra paterna benevolenza, ma abbia anche una speciale convenienza e particolare significato.
Sorge sul colle Gianicolense un famoso tempio dedicato a S. Onofrio, insigne fin dal secolo XVI dell’onore di essere titolo Cardinalizio presbiterale, che sembra a Noi adattissimo per realizzare questo Nostro desiderio.
In esso infatti vive ancora la memoria di Torquato Tasso, celebre poeta, che cantò con delicata opera poetica le gesta dei Crociati, che combatterono per ridare la libertà al Santo Sepolcro di Gerusalemme: e ivi é anche un vetusto monastero che – dopo la regolare scomparsa dell’Ordine degli Eremiti di San Girolamo – può opportunamente accogliere questo Ordine Equestre e gli può offrire una opportuna sede per lo svolgimento delle sue cerimonie religiose e di pietà e le sue opere di carità.
Per cui, dopo aver ponderatamente esaminata la cosa, e dopo aver udito il diletto figlio Nostro Emanuele Celestino del titolo di S. Onofrio al Gianicolo di S. R. Chiesa Cardinale Suhard, Arcivescovo di Parigi, di Motu Proprio, con certa scienza e con la pienezza della Nostra podestà Apostolica, decidiamo e stabiliamo quanto segue:
1) l’uso della chiesa dedicata a Sant’Onofrio sul colle Gianicolense e parimenti dell’annesso cenobio e Museo Tassiano, con la suppellettile e tutte le cose sia mobili o che sono fisse al suolo e si dicono immobili, di diritto é assegnato all’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme;
2) la nomina del Rettore e dell’altro Clero di questo tempio spetta al Sommo Pontefice, udito il parere del Cardinale Prete del titolo di S. Onofrio al Gianicolo, sia dell’Em.mo Cardinale Vicario di Roma, sia dell’Em.mo Cardinale che in quel tempo é Patrono dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme;
3) questa medesima chiesa dedicata a S. Onofrio anche in seguito rimarrà aperta opportunamente a tutti i fedeli che desiderano andarvi per motivo di pietà.
Tutto ciò che abbiamo decretato e stabilito con questo documento emanato di Motu Proprio sia deciso e immutabile, nonostante qualunque cosa contraria, anche se degna di specialissima menzione.”