SEZIONE CATANIA
Di seguito pubblichiamo la sintesi della relazione tenuta dalla Prof.ssa R. Loredana Cardullo, ordinario di Storia della Filosofia antica presso L’ Università di Catania e Direttrice del Dipartimento di Scienze della Formazione, che ha riscosso un ambio e apprezzato consenso, sul tema “La chiamata alla santità, il comandamento dell’amore ed il cammino della giustizia dal mondo pagano al martirio di Sant’Agata”
Il secolo in cui S. Agata visse e subì il martirio a Catania, il III d. C., era contrassegnato da una politica imperiale di tolleranza religiosa. Un’eccezione fu costituita, intorno al 250 circa, proprio dalla persecuzione che, intorno al 250, l’imperatore Decio attuò contro quei cristiani che rifiutavano l’idolatria pagana e la venerazione degli dèi populi romani. Approfittando dell’editto di Decio – che Lattanzio definisce exsecrabilis criminal – Quinziano, che all’epoca governava a Catania, iniziò una persecuzione contro la giovane Agata, la quale, rifiutandosi di cedere e alle lusinghe del governatore e alla costrizione all’abiura, giunse al martirio nel 251 d.C. Per la forza, il coraggio, la determinazione e la grande fede in Cristo che ne contrassegnarono il comportamento, Agata meritò il titolo di mulier virilis, e si distinse, tra le sante venerate in Sicilia, per il duplice valore della verginità e del martirio. Ora, nel periodo in cui S. Agata visse e fu perseguitata, pagani e cristiani – diversamente da quanto il tragico episodio occorso ad Agata potrebbe far pensare – convivevano pacificamente, in un clima di sincretismo religioso e di proficuo scambio culturale. Se infatti i filosofi pagani di quest’epoca, principalmente di tradizione platonica, attingono alla spiritualità cristiana, i cristiani si abbeverano alla filosofia pagana: in tal modo, nella tarda antichità, da una parte la filosofia pagana diviene una teologia ed ha come obiettivo venerare e onorare il dio unico e primo (l’Uno ipostatico, ultratrascendente, che costituisce il principio della filosofia/teologia neoplatonica), dall’altra, la religione critiana (ancora ai primordi e manchevole di una dogma inattaccabile) diviene una filosofia. Personalità come Plotino (vissuto nel III secolo) e Proclo (vissuto nel V secolo, e contemporaneo di S. Agostino), filosofi neoplatonici, manifestano una spiritualità profonda e una religiosità pari a quelle dei principali santi cristiani. Dai loro biografi (Porfirio e Marino), essi sono dipinti come dei santi pagani, mossi dall’amore per l’unico dio, fonte prima di vita e di bene per tutto l’universo. Numerose sono le dottrine (dall’introspezione, alla metafora della luce e all’estasi mistica) che assimilano i filosofi neoplatonici della tarda antichità ad alcuni dei più importanti filosofi cristiani (S. Agostono, S. Bonaventura da Bagnoregio), così come, tornando a Sant’Agata, numerosi sono i retaggi di alcuni culti pagani, greci ed orientali, presenti nelle cerimonie che ne accompagnano la celebrazione. In conclusione, pur riconoscendo al Cristianesimo un valore aggiunto e alcune specificità che sono del tutto assenti nelle precedenti religioni e filosofie, occorre smentire quel pregiudizio che vede nel paganesimo una forma inferiore di spiritualità, specialmente se si fa riferimento al neoplatonismo della tarda antichità (dal III al V secolo d. C.). Solo così saremo in grado di capire perché la lingua e la cultura greche siano così massicciamente presenti nei testi e nei culti cristiani.
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