Cardinale Fernando Filoni.
La Pasqua è una «storia» che si tramanda ed un «evento» che continua. Non è una semplice ricorrenza del lunario religioso, anche se a volte la si può percepire così; e nemmeno è un accadimento annuale. Eppure, c’è sempre un po’ di tutto questo, in ossequio alla ripetitività della nostra vita, alla ciclicità del calendario e alle abitudini per non dimenticare.
Nella liturgia quotidiana della Messa, la Chiesa si rivolge a Dio: “Celebrando il memoriale della morte e risurrezione del tuo Figlio … ti rendiamo grazie (o Padre)” (Preghiera eucaristica). In queste parole troviamo il nucleo della nostra Pasqua; ossia, celebriamo la morte e la risurrezione di Gesù, ringraziando il Padre per l’amore manifestato a noi in Lui, nostro fratello. Melitone, vescovo di Sardi, in un celebre sermone pasquale prefigurava Gesù in un agnello: ucciso in Abele, legato mani e piedi in Isacco, straniero in Giacobbe, venduto in Giuseppe, esposto sulle acque in Mosè, perseguitato in Davide, disonorato nei profeti, immolato nel vespro, sepolto nella notte, non soggetto alla corruzione, perché Dio lo risuscitò dai morti traendolo dal profondo del sepolcro e facendo rivivere in lui l’umanità. L’imperscrutabile disegno di Dio diventa «segno», o «sacramento» di salvezza. La Pasqua è sacramento di grazia!
Gerusalemme, con il sepolcro vuoto, è il luogo dell’evento, ma il tremore della sua risurrezione travalicò la Città santa, oltrepassando poi ogni tempo.
L’Eterno che gli parlava
Il Libro dell’Esodo ci racconta che Mosè, impressionato dalla teofania, o manifestazione potente dell’Eterno che gli parlava, cercò sul Sinai un nascondiglio, tanta era la sua sorpresa e il suo spavento: “Ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano” (Es 33, 22), gli dice allora il Signore; e Mosè vide un poco della gloria di Dio. In quella “cavità della rupe” si prefigurava il sepolcro di Gesù scavato nella roccia e, in quel “ti coprirò con la mano”, un pio gesto di affetto, quasi una carezza ultima del Padre verso il Figlio dell’uomo e Figlio di Dio, immolato; al primitivo seno di Maria si era ora sostituito il grembo della terra fredda.
Ma non poteva finire tutto così. “Poi toglierò la mia mano”, aveva detto l’Eterno a Mosè, e fu vita nuova. Gesù è risorto! La risurrezione è la vita che Gesù riprende; non è un redivivo, morto solo in apparenza; la sua vita non è più quella di prima. In Lui c’è una vita nuova e con essa precede i suoi discepoli e noi in quella «Galilea» delle genti dove la nostra esistenza, il nostro lavoro, le nostre malattie e paure, i nostri peccati ci umiliano.
Il dono del Risorto di cui abbiamo bisogno
La Chiesa annuncia ora, con le stesse parole dell’Angelo: “Non abbiate paura (…). Venite e guardate il luogo dove era stato deposto (…), ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete. (…) io ve l’ho detto” (Mt 28, 5-7).
L’incontro con il Risorto ha un indice di assoluta necessità; è necessario per ristabilire le relazioni con i discepoli confusi, relazioni nuove che rimescolano gli spiriti: “Pace a voi!” (Lc 24, 36). La pace è il dono del Risorto, e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno per riconciliarci con la natura, con noi stessi e con gli altri, e per dare senso alla fede che esce turbata da incredulità, per centrarsi su Cristo.
Oggi, una nuova Pasqua
Viviamo una nuova Pasqua di resurrezione ancora avvolti (e non sappiamo fino a quando) dalla caligine della pandemia del Covid-19, con le sue restrizioni quaresimali e forse di purificazione, ma anche carica di tante speranze. Il viaggio papale in Iraq, terra martire, così breve ma denso, ha suscitato lì aspettative di pace e di riconciliazione, come pure possibilità di dialogo e di comprensione tra popoli e religioni da sempre in conflitto di supremazia, e aprendo un orizzonte che abbraccia tutto il Medio Oriente, la Palestina, la Siria ed ogni continente.
La visita ad Ur dei Caldei ha avuto – direi – un profondo sapore universale: Ur fu la patria di Abramo, l’uomo che credette, ed al quale Gesù fece un chiaro riferimento pasquale: “Abramo (…) esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv 8,56). Abramo aveva intravisto il giorno di Gesù e al tempo stesso il giorno della sua risurrezione, gioendone nell’intimo, perché si realizzavano in questo Figlio ‘altro’ le promesse di divenire padre di una moltitudine di popoli (cfr. Gen 17, 5-8).
Nella Pasqua possiamo ora alzare lo sguardo verso il Signore Risorto che è stato trafitto e le cui piaghe sono state rese gloriose. Abbiamo bisogno di non dimenticare. Gesù compie le promesse dell’alleanza con Abramo e la sua resurrezione le rende eterne. Il Risorto ha, dunque, senso per la nostra vita e per l’umanità.
Come Cavalieri e Dame del Santo Sepolcro sappiamo di poter apportare il nostro contributo alla pace e al bene; siamo custodi e missionari dell’annuncio pasquale: Pace, pace a voi, il Signore è veramente risorto!
Buona Pasqua!
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